Archeoblogger: l'intervista doppia
Antonia Falcone e Marta Coccoluto hanno seguito la Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico della Fondazione MCR.
Anche quest’anno, un gruppo di Archeoblogger provenienti da tutta Italia ha seguito la Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico della Fondazione MCR, a Rovereto, per assegnare la menzione speciale istituita a partire dal 2014. Tra loro c’erano Antonia Falcone, capogruppo e presenza della prima ora, e Marta Coccoluto. Sono loro le protagoniste dell’intervista doppia che vi proponiamo di seguito. L’occasione per conoscere un po’ meglio il loro lavoro e le loro opinioni.
Nome.
Antonia
Marta
Età.
Antonia: 38 anni.
Marta: Quest’anno ho festeggiato i ‘nuovi 20’, ovvero 40 anni.
Provenienza.
Antonia: Apulo romana. Pugliese di nascita, romana di adozione.
Marta: Sono nata a Porto Santo Stefano, in provincia di Grosseto. Ho studiato all’Università di Siena, dove ho concluso il mio percorso con un Dottorato in Storia, Archeologia e Antropologia del mondo antico, e per un anno all'Université de Lausanne. Il mio lavoro mi ha poi portato a vivere in Val di Cornia, in provincia di Livorno.
Raccontaci brevemente la tua storia professionale.
Antonia: Indefessa scavatrice per anni alle pendici nord est del Palatino, mi laureo nel 2007 in Metodologia e tecniche della ricerca archeologica, dopo aver trascorso un anno nel celeberrimo “cantinone” de La Sapienza, ameno laboratorio di ceramica dove ho studiato e classificato materiali ceramici databili dall’età tardo antica al XVIII secolo. La mia vocazione da cocciarola è iniziata lì. L’entusiasmo per la vita da archeologa mi porta quindi a lasciare momentaneamente gli studi per intraprendere la fulgida carriera di “archeologa da strada”: ore a guardare la ruspa sotto il sole cocente e le intemperie con la missione di “mettere in salvo l’antico vaso dalla furia devastatrice dell’escavatore meccanico”. Inizio cioè ad occuparmi di sorveglianze archeologiche, lavoro che mi porta per anni a girare per il suburbio romano, con sveglie ad orari improponibili e una vita borderline da archeologa/operaia. Arrivano quindi il 2011 e la Scuola di Specializzazione dell’Università del Salento. Due anni di studio, tesine, lezioni e mi ritrovo Dottoressa 2 La Vendetta, stavolta in Archeologia e Storia dell’Arte Greca. È proprio durante il soggiorno salentino che nasce www.professionearcheologo.it, il primo sito web che racconta i tanti mestieri dell’archeologo, fuori dagli stereotipi. Da quel 2013 in poi cambiano molte cose: inizio ad occuparmi di comunicazione web e social dell’archeologia, partecipo a eventi, sono guest blogger per manifestazioni culturali e docente ospite per corsi e master. Ho anche scritto un libro: Archeosocial, appunto.
Marta: Dopo le prime esperienze lavorative come archeologa, dal 2008 sono diventata la coordinatrice del parco archeologico di Baratti e Populonia, visitato ogni anno da circa 50.000 persone. Dal 2011 al lavoro al parco ho affiancato quelli di blogger freelance e di content editor per Nomadi Digitali. Nel 2012 è iniziata la collaborazione con Il Fatto Quotidiano online, poi sono arrivati i progetti di comunicazione online nell'ambito di cultura, musei e archeologia. Nel 2016 sono diventata giornalista: sono la direttrice responsabile di ThePlayers Magazine, quadrimestrale di fashion e lifestyle, e inoltre scrivo di cultura, archeologia, moda e costume per settimanali e riviste. Curo l’Ufficio Stampa e la Comunicazione di BACo Baratti Architettura e arte Contemporanea | Archivio Vittorio Giorgini.
In questo momento, di cosa ti stai occupando?
Antonia: Oggi continuo ad essere un’archeologa ibrida: le mie giornate si dividono tra guardare la ruspa e guardare il cellulare, tra stratigrafie urbane e notifiche social. Una vita pericolosamente in bilico tra archeologia, blogging e social media.
Marta: Al parco mi occupo dell'organizzazione dei servizi al pubblico e della gestione del personale, dei progetti di ricerca, valorizzazione e promozione, degli eventi e delle mostre, del merchandising museale. All’archeologia sul campo ho sostituito il management culturale e cerco di mettere a frutto le mie competenze di comunicazione per raccontare online e sulla carta stampata l’archeologia e i musei in modo nuovo, più vicino al sentire contemporaneo e ai bisogni della società. Scrivere di moda come fashion editor, intervistare i suoi protagonisti, partecipare agli eventi e ai fashion show, viaggiare per visitare mostre e musei di moda mi impegna molto ma mi diverte ancor di più. Ha a che fare con il mio lato glamour che non si è mai appannato, neanche nelle giornate di scavo più dure e faticose! A unire questi due mondi apparentemente così distanti è la potenza del raccontare, delle storie. La moda è cultura e non è così effimera e capricciosa come spesso la si definisce, è intrisa di storia, è attraversata da corsi e di ricorsi, è fatta di trame da leggere in controluce… un po’ come l’archeologia.
Da quando e perché sei entrata in relazione con la Fondazione Museo Civico di Rovereto?
Antonia: Il perché in realtà è un chi: cioè Valentina Poli, che nel 2014 ha contattato un gruppo di blogger per creare la prima giuria di archeoblogger per la Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico, organizzata dalla Fondazione. Da allora e per i successivi quattro anni sono stata ospite della Fondazione durante la settimana della Rassegna, in rappresentanza dei 10 giurati blogger.
Marta: Il mio primo ‘incontro’ con la vostra realtà è stato da visitatrice, a fine 2014. Ero a Rovereto per un impegno di lavoro e non potevo mancare l’occasione. Ancora non sapevo che pochi mesi più tardi sarei entrata a far parte della Giuria archeoblogger per la vostra Rassegna Internazionale del Cinema archeologico. Una sorpresa, ma soprattutto un onore.
Qual è, dal tuo, punto di vista, il tratto distintivo della Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto?
Antonia: Il respiro internazionale. Senza dubbio rispetto a tante altre manifestazioni cinematografiche che punteggiano la penisola, la Rassegna di Rovereto è quella maggiormente aperta alle produzioni internazionali e più attenta a tematiche strettamente archeologiche.
Marta: La lunga tradizione - quasi tre decadi lasciano il segno - che ne ha fatto nel tempo un’eco autorevole dell’archeologia internazionale. Una tradizione consolidata, mantenuta salda anche grazie alla capacità di rinnovarsi. L’istituzione della Menzione Speciale Archeoblogger, di fatto un’apertura alle voci più dinamiche, indipendenti e, se vogliamo, anche più critiche del panorama nazionale della comunicazione online, ne è una importante riprova, soprattutto in un ambito dove la ‘tradizione’ fatica a far rima con ‘innovazione’.
Cosa ti ha colpito di più di questa ultima edizione della Rassegna?
Antonia: Innanzitutto la location: il teatro Zandonai è un gioiellino architettonico e guardare i film dai palchetti è davvero emozionante. E poi nel teatro “habemus internet”: cioè prende il cel. Cosa non da poco per un’archeoblogger!
Aggiungo l’altissima qualità dei film: tutte produzioni importanti in grado di raccontare grandi storie per immagini.
Last but not least: l’idea dell’aperitivo, un’occasione di incontro tra pubblico e ospiti.
Marta: Sicuramente l’alta qualità dei film in concorso, un aspetto su cui tutta la giuria è stata concorde. Dopo tre edizioni posso dire che la comunicazione archeologica sta pian piano trovando la via giusta per arrivare al cuore del pubblico, allontanandosi dai sensazionalismi, servendosi di un’alta qualità scenica senza trasformare il passato in una caricatura, raccontando temi e ricerche complesse abbandonando a poco a poco quella pedanteria scientifica che ne è stata a lungo il tratto distintivo. E nel panorama italiano ne abbiamo ancora un disperato bisogno. Nelle prime due edizioni come archeoblogger abbiamo premiato due produzioni italiane, non tanto per amor di patria ma proprio per l’esigenza, diventata ormai un’urgenza, di riannodare i fili del rapporto tra l’archeologia e il proprio pubblico, tra i musei e la società.
Una riflessione sulla comunicazione culturale in questo settore: come trovare il giusto compromesso tra approccio accademico e taglio divulgativo, com'è il panorama odierno è quale ritenete sia il vostro ruolo.
Antonia: Inizio dalla fine: il nostro ruolo di archeologi comunicatori è quello di non lasciare l’archeologia nelle mani di improvvisatori di professione e “racconta bufale” di mestiere. Tocca a noi saper raccontare quello di cui siamo abituati ad occuparci, mettendo a frutto La prima lezione di uno dei padri nobili dell’archeologia: “l’archeologo non scava oggetti, ma esseri umani”. Dobbiamo cioè essere in grado di raccontare le storie che ci sono dietro le cose e soprattutto smettere di pensare che il mondo non può capirci: è un alibi troppo banale da usare. Il compromesso tra approccio accademico e taglio divulgativo? Scendere dalla cattedra quando siamo in mezzo a non accademici e salirci quando dobbiamo formare futuri professionisti.
Marta: C’è un grande desiderio di conoscere e di partecipare da parte delle persone che non possiamo ignorare. Avere a lungo trascurato la divulgazione, considerandola un compito per altri, una banalizzazione a uso del grande pubblico, ha creato una profonda distanza tra l’archeologia e la società, lasciando il campo libero a luoghi comuni, pessima informazione, letture fantomatiche della storia e visioni distorte del lavoro dell’archeologo. A noi archeologi spetta il compito di riavvicinare il pubblico al nostro lavoro, coinvolgerlo nel vivo di una ricerca archeologica, raccontare i perché di quel che facciamo. Dal mio punto di vista tutto parte dalla comunicazione. Dobbiamo lavorare sul nostro linguaggio, sugli strumenti di comunicazione - abbiamo Internet, il più potente strumento di ‘costruzione di massa’, - e sulla nostra offerta culturale, così che sia inclusiva e accessibile. La sfida più grande che io vedo - e di qui il nostro compito - è riportare l’archeologia, e più in generale la cultura, nel novero dei bisogni contemporanei, da cui sembra drammaticamente uscita per una larghissima parte di popolazione.