Lo strano caso della flora ferroviaria
E' uno dei temi dello straordinario tour interattivo nel paesaggio vegetale trentino tra ieri, oggi e domani nella mostra "Ci vuole un fiore" al Museo di Scienze e Archeologia
Chiunque, per motivi professionali o personali, debba viaggiare in treno e frequentare stazioni e ferrovie, può diventare un botanico per caso e osservare la straordinaria biodiversità vegetale che colonizza questi ambienti: con la presenza di massicciate sassose, l’esposizione a frequenti “concimazioni” e la facilità di trasporto involontario di semi, costituiscono, nonostante i periodici diserbi, un habitat estremo e singolare.
La natura, in qualche modo, si è riappropriata di spazi sottratti dall’uomo, fino a formare delle nicchie biologiche per specie rare in altri ambienti, o a favorire l’insediamento di specie aliene, che arrivano “clandestinamente, viaggiando insieme a persone e merci. Alcune piante presto scompaiono, altre si insediano in modo discreto nelle stazioni, qualcuna può diventare invasiva.
Alcune specie si rinvengono in Trentino esclusivamente in ambiente ferroviario: è il caso ad esempio delle alloctone Amaranthus albus e Euphorbia davidii.
Però le stazioni possono essere delle oasi di sopravvivenza anche di specie autoctone, come ad esempio Eryngium campestre e Papaver argemone.
Fin dalla loro costruzione (la prima ferrovia è stata inaugurata in Trentino nel 1859) hanno attirato l’attenzione dei botanici: Josef Murr, all’inizio del 1900, rinvenne lungo la linea della Valsugana ben 100 taxa nuovi per l’allora Tirolo, e innumerevoli furono le specie sorprendenti trovate da Luigi Biasioni nello scalo di Trento nel primo dopoguerra.
Purtroppo, varie piccole stazioni sono ormai dismesse e la loro flora si sta banalizzando.