Fido e noi. Come ci considerano i nostri cani?

Fido e noi. Come ci considerano i nostri cani?

Il cane, si sa, è il migliore amico dell'uomo. Ma la scienza come interpreta questo profondo legame? Gli studiosi di etologia e comportamento animale propongono due modelli di relazione, scopriamoli assieme.

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Lo speciale rapporto che ci lega al nostro più fedele amico a quattro zampe pone domande alla quale gli studiosi non sono ancora riusciti a dare una risposta certa: la relazione tra essere umano e cane è più simile a quella tra il capobranco e un elemento subordinato del gruppo o piuttosto a quella esistente tra genitore e figlio? La scienza usa il termine "lupomorfismo" per indicare il primo modello, molto popolare tra gli autori di libri sui cani, e "babymorfismo" per il secondo, preferito da sociologi e psicologi.

Distinguere tra le due ipotesi non è semplice perché condividono alcuni tratti comportamentali in comune: la tendenza ad assumere una figura di riferimento e seguirla, ad esempio, è propria sia del primo modello che del secondo.

Il quesito sulla relazione uomo-lupo riveste una grande importanza pure per una seconda ragione: esso presuppone il tentativo di chiarire fino a che punto il comportamento del cane differisce da quello del suo antenato, ovvero del lupo. Nello specifico la branca della scienza che studia il comportamento animale, l'etologia, si interroga su quali siano stati i fattori che avrebbero giocato un ruolo preponderante nel processo di domesticazione del lupo. Due sono gli scenari: l'antenato del cane potrebbe aver semplicemente conservato la propria identità e struttura sociale senz'altro sforzo, perché in qualche modo già predisposto alla vita in gruppi familiari simili a quelli umani; diversamente, potrebbe aver essersi trovato nella necessità di adattarsi ad un contesto completamente diverso, letteralmente plasmando i propri comportamenti e la propria natura su una specie completamente nuova e sconosciuta - l'essere umano.

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Non è semplice capire il rapporto tra l'essere umano e il suo amico a quattro zampe e sapere quanto del comportamento del lupo rimanga nel modo di relazionarsi del cane. 

Rispondere a queste domande non è semplice. Verrebbe spontaneo pensare però che se il rapporto tra essere umano e cane è ancora oggi guidato in via esclusiva (o anche solo preponderante) dalla natura lupina di quest'ultimo, allora dovremmo aspettarci di osservare in lupi allevati con l'uomo gli stessi comportamenti che troviamo nei cani. Le osservazioni scientifiche tendono però ad escludere questa possibilità, mettendo in luce differenze significative tra i lupi addomesticati e i cani (Miklosi, 2007).

Il modello del lupomorfismo quale singola spiegazione della peculiare interazione tra uomo e cane non pare quindi essere supportato dalle attuali conoscenze, pur considerando la carenza di dati circa i reali comportamenti dei lupi in natura.

Il modello del babymorfismo, d'altra parte, interpreta il nostro rapporto coi cani nei termini di una sorta di relazione parentale genitore-figlio. Questo modello prende come esplicito riferimento il fenomeno della neotenia, suggerendo che i cani si trovino nella stessa posizione sociale di un bambino di 1-2 anni. La neotenia consiste nella conservazione di tratti infantili in età adulta e può riferirsi sia a tratti fisici che comportamentali. La stessa specie umana è considerata una specie neotenica in ragione dello sviluppo ritardato che ci consente di conservare un cervello plastico e dunque garantire un elevato livello di apprendimento anche in età adulta.

È possibile quindi che anche i cani, esattamente come noi, possano essere considerati una sorta di Peter Pan biologici.

Tra gli studi sulla relazione uomo-cane ve n'è uno particolarmente curioso (Rasmussen and Rajecki, 1995) per il fatto di essersi proposto come obiettivo non tanto lo studio dei cani, bensì del modo in cui il comportamento dei cani è percepito dagli esseri umani. Ad alcuni studenti universitari è stato chiesto di confrontare i comportamenti dei cani e quelli dei bambini per capire se ai loro occhi vi fossero delle differenze significative. I partecipanti allo studio, analizzando i vari comportamenti in categorie (giudizi morali, piacere, immaginazione, etc.) hanno rilevato solamente delle differenze di grado e non di sostanza. Pare quindi che siamo noi stessi a rilevare forti similarità tra il comportamento dei cani e quello dei giovani della nostra specie.

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Sono troppe le variabili per ricondurre l'interazione tra uomo e cane a un modello univoco. 

Entrambi i modelli del "lupomorfismo" e del "babymorfismo", nella loro pretesa alternatività, sembrano trascurare alcuni importanti elementi che entrano in gioco e che contribuiscono a rendere molto difficile, rispondere alla domanda posta all’inizio. Ne citiamo due. Innanzitutto l'elevata variabilità della relazione tra uomo e cane, intesa nel senso più esteso possibile: esistono infatti innumerevoli modi di rapportarsi al proprio compagno di vita ed avventure e questi possono senz’altro influenzare le risposta dell’animale rendendo difficile generalizzare le osservazioni. Un padrone potrebbe ad esempio spingere ad instaurare un rapporto di subordinazione, mentre un altro potrebbe vedere nel cane un compagno sociale di eguale rango.

Quale secondo aspetto dobbiamo considerare la grande variabilità delle razze canine e delle loro predisposizioni genetiche: questi fattori hanno una ricaduta anche a livello comportamentale.

In conclusione, sembra improbabile che uno dei due modelli possa, da solo, spiegare in toto il rapporto speciale tra la nostra specie e i nostri migliori amici a quattro zampe. È invece probabile che la spiegazione si ponga a qualche livello tra i due estremi: ci troviamo di fronte ad una specie, quella canina, con una predisposizione innata ad una certa struttura sociale e familiare complessa di natura lupoide, che è stata però spinta nel corso di millenni di domesticazione a conservare tratti infantili anche negli esemplari adulti. I nostri cani sono probabilmente il risultato di questo esclusivo mix tra lupomorfismo e babymorfismo e forse proprio per questo appaiono così attraenti ai nostri occhi.

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Bibliografia:
Rasmussen, J.L., Rajecki, D.W. (1995). Differences and similarities in humans’ perceptions of the thinking and feeling of a dog and a boy. Society and Animals, 2, 117-137
Miklosi A. (2007). Dog. Behaviour, evolution and cognition. Oxford University Press

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a cura di Gionata Stancher, Sezione Zoologia Fondazione MCR

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