Perché il Blue Monday è il giorno più triste dell'anno? Ce lo spiega l'etologia

Perché il Blue Monday è il giorno più triste dell'anno? Ce lo spiega l'etologia

Lunedì 16 gennaio 2023 sarà il Blue Monday, il giorno più triste dell'anno. Terminate le festività natalizie, nel pieno dell'inverno, l'umore vacilla. Questa ricorrenza, anche se nata come invenzione del marketing pubblicitario, può avere una spiegazione scientifica, legata alle strategie biologiche e comportamentali che mettono in atto le specie animali e vegetali per superare la stagione avversa.

Si legge in 5 minuti: il tempo di un caffé americano!

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Il termine inglese Blue Monday ("lunedì triste") indica un particolare giorno dell'anno, solitamente il terzo lunedì del mese di gennaio, ritenuto essere il giorno dell'anno più triste per gli abitanti dell'emisfero boreale. Secondo questa teoria, al Blue Monday le persone si sentono maggiormente depresse perché inconsciamente il cervello realizza in questo giorno che sono finite le festività natalizie e che i mesi successivi saranno caratterizzati dalla quasi totale assenza di giorni festivi. 

La particolare inclinazione dell'asse terrestre è la causa dell'alternanza stagionale nella maggior parte dei territori della Terra, una condizione alla quale molte specie animali e vegetali hanno dovuto adattarsi, adottando ciascuna strategie per superare il periodo più difficile dell'anno, quello invernale

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Alberi spogli durante la stagione invernale

Nella difficile stagione invernale tutte le specie vegetali e animali attivano una serie di comportamenti difensivi. 

Varie specie vegetali entrano in una fase di stasi vegetativa, ovvero arrestano la loro crescita; moltissime perdono la parte metabolicamente più attiva, che è allo stesso tempo la più delicata: le foglie. Anche gli animali hanno adottato strategie per fronteggiare il clima difficile e la scarsità di risorse: alcune specie cadono in letargo, che è una sorta di coma programmato e reversibile nel quale le funzioni vitali vengono di molto diminuite - e in alcuni casi, come nei rettili, ridotte davvero al minimo vitale. Per superare questo lungo periodo di inattività le specie con il metabolismo più attivo (ad esempio i mammiferi come lo scoiattolo) devono raccogliere provviste o in altri casi accumulare strati di grasso; tutte le specie dei climi temperati devono insomma attivare, al sopraggiungere dell'autunno, una serie di comportamenti molto diversi da quelli dell'estate volti a prepararsi in maniera adeguata all'imminente calo delle temperature e della disponibilità di cibo.

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Il letargo dei ricci inizia solitamente tra ottobre-novembre e perdura fino a marzo-aprile

L'attivazione di questi comportamenti è sotto controllo ormonale, vale a dire che la quantità relativa di alcuni ormoni circolanti nel sangue determina la tendenza a muoversi spensierati nel verde, pensando ad accoppiarsi, piuttosto che accumulare freneticamente ghiande per sopravvivere all'imminente inverno, oppure a mangiare in maniera incontrollata. Il rilascio di queste sostanze nell'organismo dipende essenzialmente da stimoli ambientali, tra i quali la temperatura, la durata del fotoperiodo e molti altri fattori. 

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Lo scoiattolo è molto attivo durante il giorno e non cade in letargo in inverno. Si limita ad alternare periodi di sonno prolungato a periodi di modesta attività per la ricerca e il consumo di cibo.

Alla luce di questa premessa non stupisce che anche la nostra specie possa essere in qualche misura interessata da questo fenomeno.

La nostra risposta all'alternanza stagionale non è in realtà così accentuata come quella di molte altre specie animali che vivono attorno a noi e questo dipende probabilmente dal fatto di essere una specie africana che, in quanto tale, ha avuto pochissimo tempo (circa 50.000 anni) per adattarsi all'ostile clima europeo. Come specie umana non disponiamo quindi di strategie biologiche rilevanti per fronteggiare l'inverno e la maggior parte delle azioni che mettiamo in atto possono essere considerate delle soluzioni culturali (si pensi ad esempio all'utilizzo di vestiti invernali o al riscaldamento delle nostre case). 

In quanto specie africana, dunque, le risposte del nostro organismo al sopraggiungere della stagione fredda non sono così intense come quelle delle specie native dei climi temperati; in ogni caso non sono tali da determinare variazioni comportamentali drastiche. Sono ciò nonostante comuni gli effetti della stagione invernale sull'umore e sui ritmi biologici: si registra in genere una tendenza sentirsi più stanchi, ad andare a letto presto e anche una maggiore incidenza dei sintomi depressivi.

L'umore è controllato da diversi neurotrasmettitori, e tra questi la serotonina è nota per giocare un ruolo fondamentale.

Quando la serotonina viene rilasciata dal nostro sistema nervoso essa si lega ai suoi recettori e ciò provoca una sensazione soggettiva di felicità e appagamento. Possiamo immaginare ve ne sia molta attaccata ai suoi recettori quando ci troviamo in uno stato rilassato, ad esempio quando siamo in riva al mare privi di preoccupazioni o sulla sommità di una vetta a contemplare l'immensità del paesaggio attorno a noi.

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La serotonina, meglio conosciuta come "ormone del buonumore", è un neurotrasmettitore sintetizzato nel cervello e in altri tessuti coinvolto in numerose e importanti funzioni biologiche del nostro organismo.

In condizioni naturali è però importante conservare anche uno stato di allerta anziché adagiarsi sugli allori: in natura il pericolo, si sa, è sempre dietro l'angolo. Per questa ragione il nostro organismo, tramite il nostro "cervello atavico", è pronto a togliere di mezzo l'eccesso di serotonina e lo fa utilizzando delle molecole apposite, dette "trasportatori". Proprio quando le condizioni ambientali si fanno più difficili, diventa più importante agire con cautela e oculatezza, muoversi con attenzione nonché programmare con attenzione il futuro - questo è in sostanza il "ragionamento" del nostro organismo. Sebbene il bilancio della serotonina venga da quest'ultimo "deciso" valutando molteplici aspetti e input ambientali, è ormai assodato il legame tra l'abbondanza di questo neurotrasmettitore e quello della vitamina D.

La vitamina D, che viene prodotta dalla semplice esposizione ai raggi del sole, agisce infatti incrementando il rilascio di serotonina da parte dell'organismo. Ciò significa che durante il periodo invernale - quando cioè la durata del giorno è inferiore, il sole è meno intenso e la nostra pelle è coperta da indumenti pesanti - la ridotta produzione di vitamina D potrebbe determinare un calo della serotonina, con prevedibili conseguenze sull'umore. 

Se i giorni più bui dell'anno sono neri anche per quanto riguarda l'umore, ciò potrebbe dipendere da una risposta programmata del nostro organismo: una misura cautelativa nei confronti della nostra stessa sopravvivenza!

Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

Bibliografia:

Otsuka T. et al. (2014). Photoperiodic responses of depression-like behavior, the brain serotonergic system, and peripheral metabolism in laboratory mice. Psychoneuroendocrinology 40:37-47.

Willeit M. et al. (2008). Enhanced Serotonin Transporter Function during Depression in Seasonal Affective Disorder. Neuropsychopharmacology 33:1503-1513.

Patrick R.P., Ames B.N. (2015). Vitamin D and the omega-3 fatty acids control serotonin synthesis and action, part 2: relevance for ADHD, bipolar disorder, schizophrenia, and impulsive behaviour. FASEB J. 29(6):2207-22

Sabir M.S. et al. (2018). Optimal vitamin D spurs serotonin: 1,25-dihydroxyvitamin D represses serotonin reuptake transport (SERT) and degradation (MAO-A) gene expression in cultured rat serotonergic neuronal cell lines. Genes&Nutrition 13:19

Lansdowne A.T.G., Provost S.C. (1998). Vitamin D3 enhances mood in healthy subjects during winter. Psychopharmacology 135:319-323

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a cura di Gionata Stancher, Sezione Zoologia Fondazione MCR

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