Le ricerche sulla cognizione animale della Sezione Zoologia
Da alcuni anni una parte dell’etologia, la scienza nata dal lavoro pionieristico di Konrad Lorenz[1], ha iniziato un percorso di avvicinamento verso le neuroscienze che ha portato alla nascita di nuovi campi più specialistici, uno di questi definito “studio della cognizione animale”.
La cognizione animale, come settore delle neuroscienze, si propone di indagare le abilità cognitive delle specie animali e di fornire delle spiegazioni fisiologiche delle prestazioni osservate. Un elemento che caratterizza in maniera molto marcata lo studio della cognizione animale è l’aspetto della comparazione. Poiché con il termine “animale” ci riferiamo potenzialmente a svariate milioni di specie diverse, risulta chiaro che qualsiasi conclusione potrà essere rivestita di un qualche interesse solamente in una prospettiva di confronto, possibilmente in un’ottica evolutiva. Questo ultimo aspetto significa chiedersi in quale momento e per quali motivi un dato comportamento che osserviamo in una specie animale è comparso nel corso della sua evoluzione, come si è modificato nel corso del tempo e quanto è diffuso oggi. Il punto forse più interessante è che questo tipo di analisi del comportamento e della cognizione animale includono a diritto anche la specie umana, in quanto a tutti gli effetti una specie animale. Pertanto, trattare di cognizione animale in termini comparati significa chiedersi a) in cosa la specie umana si differenzia, dal punto di vista cognitivo e dell’intelligenza, dalle altre specie animali; b) quando, nel corso dell’evoluzione della nostra specie, è comparsa una data abilità cognitiva, ad esempio la capacità del fare di conto, di apprendere o di orientarsi nello spazio. Poiché l’evoluzione della specie umana è iniziata 4 miliardi di anni fa, con la comparsa della prima proto-cellula, e non 200.000 anni fa con la comparsa di Homo sapiens, il nostro percorso evolutivo è stato per il 99.9% del tempo un percorso condiviso con altre specie animali; sembra quindi chiaro che sussiste più di un buon motivo per studiarle, al di là dell’interesse che può suscitare il semplice fatto di approfondire la conoscenza di qualcosa di diverso da noi stessi.
Come sarebbe possibile definire l’unicità della specie umana e delle sue caratteristiche cognitive, intellettuali e spirituali se non attraverso il confronto con quelle delle altre specie animali? Il primo passo è quindi quello di individuare alcune delle competenze “più propriamente umane” e verificare se, entro altre specie animali, queste sono presenti in qualche forma, senza per questo aspettarci lo stesso livello di sofisticazione che troviamo nella nostra specie. L’impresa è chiaramente titanica e richiede lo sforzo congiunto di molti ricercatori e laboratori di diverse università ed enti di ricerca sparsi per il mondo. E’ necessario infatti passare in rassegna molte abilità cognitive umane e verificare la loro presenza, attraverso test in condizioni controllate eseguiti su molti soggetti, nelle diverse specie animali. Iniziando con quelle più imparentate con noi: le scimmie antropomorfe, per poi allontanarci sempre più. Un’abilità cognitiva diffusa in specie molto diverse (ad es., nell’uomo e nelle rane) è un’abilità cognitiva comparsa molto anticamente nella storia evolutiva delle specie animali. In passo successivo consiste nel chiedersi il motivo di questa invariabilità: quale vantaggio conferisce oggi e quale in passato?
Attualmente la sezione di Zoologia della fondazione Museo Civico di Rovereto si trova impegnata in una serie di progetti di ricerca sulla cognizione animale, svolti in stretta collaborazione col Laboratorio di Cognizione animale e neuroscienze comparate del CIMeC – Università di Trento e con l’Università di Padova. Lo scopo di queste ricerche è quello di indagare le abilità cognitive nei cosiddetti “vertebrati inferiori”: alcune delle specie da noi studiate sono gli anfibi anuri e i rettili, in particolare le testuggini[2] . Forniremo di seguito alcuni esempi di ricerche che sono state pubblicate o che sono ancora in corso.
Il primo riguarda l’origine delle nostre abilità matematiche. Da alcuni anni si è scoperto che l’abilità di “fare di conto” – ad esempio distinguere un insieme composto da 2 oggetti da uno composto da 3 oggetti - non solo non è una competenza esclusivamente umana, ma che è presente, come abilità cognitiva innata, in pressoché tutte le specie di vertebrati e anche in alcuni invertebrati[3]. La Sezione di Zoologia del MCR ha contribuito a questo campo con una pubblicazione sulle abilità matematiche nelle rane, che sono state studiate su questo aspetto per la prima volta al mondo[4]. E’ evidente quindi che non solo la matematica non è un’esclusività umana, ma che è comparsa, nel corso della nostra (e loro!) storia evolutiva, molti milioni di anni fa, tanto da essere presente pure nelle ranocchie.
Un altro àmbito di ricerca comparata è quello della lateralizzazione[5]. Non è facile riassumere in poco spazio questo tema ma possiamo dire che si tratta di quel fenomeno cognitivo e neurale che, nella nostra specie, determina tra le altre cose anche la preferenza nell’uso di uno degli arti. La “preferenza laterale” riguarda però non solo l’aspetto motorio, ma anche quello sensoriale. Dopo molti anni di studi comparati si è arrivati alla conclusione che certi stimoli rilevanti vengono elaborati preferenzialmente da uno dei due emisferi del cervello e di conseguenza vengono percepiti con preferenze sensoriali asimmetriche (questo significa, ad esempio, preferenzialmente con l’occhio sinistro). La direzione di queste lateralizzazioni sensoriali ha una elevata corrispondenza e invariabilità entro le specie animali, a testimonianza del fatto che questa funzione cognitiva e neurale si radica molto profondamente nella filogenesi dei vertebrati. La sezione di Zoologia ha contribuito in questo campo[6] con uno studio condotto su un Ordine di animali mai studiato prima per questo aspetto: quello delle testuggini. Analizzando i filmati di 11 testuggini impegnate nell’osservazione di un conspecifico, abbiamo trovato che i soggetti mostravano una preferenza statisticamente significativa a farlo con l’occhio sinistro, preferenza che scompariva quando lo stimolo sociale veniva tolto. Questi risultati sono coerenti con quelli ottenuti su altre specie animali, compresa la specie umana, che vedono l’utilizzo preferenziale dell’occhio sinistro per il monitoraggio di esemplari della stessa specie. Di nuovo, stiamo sondando qualcosa che si addentra molto profondamente nel nostro passato animale.
Pure nel poco spazio a disposizione per questo vasto tema, pare quindi evidente che quello della cognizione animale è un campo di ricerca recente e in pieno sviluppo, ma assolutamente promettente in quanto ci consente non solo di conoscere meglio la moltitudine di specie che ci circondano ma anche, per riflesso, conoscere meglio anche noi stessi.
Bibliografia
[1] Lorenz K. L’etologia. Bollati Boringhieri
[2] Stancher G. (2016). Cold blooded minds: cognition in reptiles. In: Animal flatmates: Deep into their minds. Smashwords Edition, Los Gatos, California.
[3] Vallortigara G., Panciera N. Cervelli che contano. Aldelphi edizioni
[4] Stancher G., Rugani R., Regolin L., Vallortigara G. (2015). Numerical discrimination by frogs (Bombina orientalis). Animal Cognition, 18(1): 219-229
[5] Vallortigara G., Rogers L. Cervelli divisi. L’evoluzione della mente asimmetrica. Mondadori education
[6] Sovrano A.V., Quaresmini C., Stancher G. (2017). Laterality during the mirror-image inspection in tortoises (Testudo hermanni). Behavioral Brain Research [submitted]