Al Ponte del Diaol, tra emergenze botaniche e geologiche
A piedi lungo il tracciato della storica via di comunicazione tra Cazzano e Corné, lungo la forra attraversata dalle acque del torrente Sorna, giù fino al Ponte del Diaol, per imparare a riconoscere caratteristiche della vegetazione, e del suolo, di uno dei luoghi più suggestivi delle pendici del Baldo trentino.
Sono Michela Canali, responsabile della Sezione Didattica e conservatore onorario per le Scienze della Terra presso la Fondazione Museo Civico di Rovereto, e Alessio Bertolli, vicedirettore e ricercatore della Sezione Botanica della Fondazione Museo Civico di Rovereto, a guidare i visitatori dell'escursione promossa nell'ambito del programma “Cavo, Cava… Caves”, fra gli eventi in calendario per la sessione roveretana del grande progetto trasversale animato dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto e la Società Alpinisti Tridentini, con il contributo della Fondazione Caritro.
I primi passi sono l’occasione per un inquadramento del territorio “caratterizzato – spiega Canali - da una marcata individualità geografica”, e per una riflessione sull’evoluzione del paesaggio“ dovuta a processi esogeni, dunque atmosferici, ma soprattutto a processi endogeni: che riguardano cioè la struttura della roccia e le origini geologiche del territorio che stiamo osservando”.
Siamo nel comparto più occidentale delle Prealpi venete, nella parte settentrionale del massiccio del Monte Baldo, sul versante lagarino: più dolce di quello benancense, che precipita ripido, al lato opposto, nelle acque del Garda. Tra i 65 metri dello specchio lacustre agli oltre 2mila delle vette più elevate, la mole del gruppo è imponente. L’ossatura principale è costituita da rocce sedimentarie - in particolare calcari e dolomie – che si compattarono milioni di anni fa nel mar della Tetide: un oceano sterminato, ricompreso tra l’odierno Mediterraneo e il Borneo e delimitato a settentrione dalla Laurasia e a meridione dal Gondwana.
Il primo tratto del percorso si sviluppa attraverso delicati pendii terrazzati e fortemente antropizzati: una stretta strada di campagna costeggia filari e filari di viti e qualche albero da frutto – noci, mele cotogne -; muri a secco delimitano il cammino.
Mano a mano che il sentiero si approssima all’alveo del rio Sorna la pendenza aumenta e l’intervento umano svanisce: le colture cedono il passo al bosco. Ecco le prime emergenze botaniche spontanee tipiche delle zone di forra: l’acero di monte, l’acero campestre. Bertolli spiega, di quest’ultimo, le strategie riproduttive: i frutti, a coppie, assumono la forma di un’elica. Quando si staccano, precipitano roteando per cadere lontano dalla pianta madre, per trovare la luce e nuova vita.
A monte del sentiero, intanto, si è fatto ben visibile lo strato superficiale del terreno: un deposito sciolto di spessore variabile di materiale di origine glaciale, risalente all’ultima glaciazione. “Si distingue – spiega Canali – per una matrice molto fine e limosa, all’interno della quale sono immersi altri materiali sciolti granulometricamente più evidenti: ciottoli arrotondati, smussati dal lavorio continuo dovuto al trasporto nel ghiaccio, costituiti prevalentemente in questo luogo da rocce magmatiche effusive di colore scuro, provenienti dall'Alto Adige, ad altissima resistenza. Quando incappiamo in uno strato con queste caratteristiche, possiamo stare certi che di qui è passato un ghiacciaio. Questo, in particolare, superava i 1500 metri. Tra i ghiacciai vallivi del Garda e atesino in Vallagarina, affioravano solo le cime più alte del Baldo”.
Siamo oramai al ponte: detto “del Diaol” per il fascino e il timore insieme che da sempre ha mosso negli abitanti del posto. Un orrido ammantato di un’aura magica, opera – dice la credenza popolare – del diavolo stesso. La giornata è cristallina, ma il sole fatica a farsi largo nell’intreccio dei rami, c’è molta umidità e la temperatura si è abbassata. In pochi metri, dalle zone aride prossime a Cazzano siamo sprofondati in una vera e propria zona di forra ombrosa. Tra le specie più caratteristiche, una felce a lamine intere, laccate, detta “scolopendrio”: “La pagina inferiore – Bertolli gira una foglia - è ricoperta di sporangi lunghi e stretti, vellutati al tatto, che contengono le spore. C'è poi naturalmente la più tipica felce dolce, Polypodium vulgare, che ha radice commestibile al sapore di liquirizia; false ortiche; il fior d’angiolo europeo, un arbusto noto anche con il nome di palla di neve; le cosiddette latifoglie nobili, come il tiglio e gli aceri campestre e di monte”.
Le pareti rocciose offrono ora lo spunto per una riflessione sulla successione stratigrafica: si intuiscono rocce sovrapposte con caratteristiche diverse che esprimono ambienti di sedimentazione di tipo differente. “Qui – spiega ancora Canali - la sedimentazione copre circa 165 milioni di anni: si parte dalla più antica dolomia e si arriva al più recente calcare di Nago, risalente all’Eocene superiore circa 35 milioni di anni fa. Il contenuto fossilifero e le caratteristiche strutturali e granulometriche sono diverse tra uno strato e l’altro perché diversa è la profondità alla quale è avvenuto il deposito e diversa è stata poi, di conseguenza, anche la risposta alle sollecitazioni meccaniche dovute alla formazione della catena alpina”. L’analisi della successone stratigrafica è il primo passo per una ricostruzione paleoambientale: per scoprire, cioè, quali erano le caratteristiche dell'ambiente e degli organismi che lo abitavano, e quali sono state le loro trasformazioni.
Una ripida scalinata in legno porta infine al cuore della forra, dove l'acqua si raccoglie in ampi bacini tra grandi massi levigati e una folta vegetazione. Un'ultima considerazione sulla stretta correlazione tra le emergenze botaniche e la natura del terreno; in questo luogo per esempio si trovano anche alberi di castagno che presuppongono condizioni subacide del terreno, condizioni determinate dalla presenza di rocce silicatiche come le magmatiche effusive tipiche del luogo e riferibili a episodi vulcanici dell’Eocene inferiore quando la catena alpina iniziò a sollevarsi. E un ultimo sguardo alle “stalattiti”: tra i fenomeni di deposizione propri dei massicci carsici qual è, per l'appunto, il Baldo.
Il gruppo rientra, per ritrovarsi, tra qualche giorno, in occasione della prossima attività.
Il programma delle uscite e delle conferenze al sito http://www.fondazionemcr.it/caves/caves_home.jsp